Andiamo a scuola di politica

di Roberto Avanzi

Scuola di politica, o dottrina ideologica, questo il tema sul quale bisogna riflettere.

I partiti alle prese con la mancanza di formazione dei dirigenti, potenziali e non, cercano strade che per ora appaiono percorsi tortuosi.

Saper fare politica non vuole dire sapere amministrare, spesso però le due cose si mescolano nel pensare comune in modo tale da suscitare solo confusione, nonché un atteggiamento giustificativo dell’operato dei singoli protagonisti.

Conoscere le regole non significa saperle e volerle applicare o farle rispettare, andando oltre: legiferare non significa, allo stesso modo, fare gli interessi della Comunità.

Una scuola di politica, oggi quanto mai necessaria, ha bisogno di buoni maestri più preparati sul piano della conoscenza che sul piano dell’esperienza, ma soprattutto capaci di trasmettere quegli insegnamenti che vengono i primis dalla Costituzione e dallo Statuto di Autonomia, sapendolo coniugare con gli aspetti del pensiero autonomo legato allo statuto dei partiti stessi.

Quando una società tenta di proporre e portare, quale valore aggiunto, in politica, l’ignoranza, significa che il declino culturale ha preso il sopravvento e che la logica del consenso utilizza strumenti di rivalsa molto pericolosi per la democrazia stessa.

Ben venga quindi una scuola di politica, ma attenzione all’indottrinamento ideologico che sembra prendere oggi sempre più piede, basandosi su stereotipi costruiti su fattori  temporanei di propaganda.

La politica, come espressione di partecipazione, implica anche conoscenza, oltre all’impegno, ecco quindi che fare ricorso ad una didattica specifica diventa indispensabile per la formazione delle future classi dirigenti. Lo sforzo e l’intento di istruire, per aiutare le persone ad avvicinarsi al mondo dei partiti politici o semplicemente alla politica, è quanto mai un’ottima idea, come spesso accade di questi tempi saranno, oltre al metodo, i contenuti a determinarne il senso e l’efficacia.

Trento città senza politica

di Roberto Avanzi

Trento si avvicina lentamente, e direi inesorabilmente, alle prossime elezioni amministrative in piena confusione politica, ipotetiche coalizioni con maggioranze certe non se ne vedono e la città langue in una sorta di immobilismo senza precedenti, troppo debole per poter contare, priva di idee per poter proporre.

Divisa in sobborghi con maggioranze di consenso diametralmente opposte, attende senza ansie e qualche patema, la stagione congressuale, per capire quale sarà il suo destino del dopo Andreatta.

La fase è quella dei grandi silenzi, dell’immobilismo, e tutta l’attenzione, media compresi, è per la nuova coalizione del cambiamento a trazione leghista e i suoi affanni.

Persa nel passato e nella prosopopea della campagna elettorale delle provinciali, la stagione delle grandi opere torna nel cassetto dei sogni, mentre sul tappeto restano i soliti problemi irrisolti, risparmiamoci l’elenco.

Piccola città, grandi illusioni, vorrei, ma non posso, potrei, ma non so cosa, governata per inerzia da una burocrazia paralizzante e penalizzante, si trascina mesta inseguendo fasti di un tempo lontano, aggrappandosi all’università quale valore supremo, sempre più incline a giustificare invece che a spiegare.

A Trento si vive bene (chi vive bene), lo dicono le classifiche, chi vive male vive male (lo dicono le statistiche), allora come lo guardiamo il bicchiere? O vogliamo ignorare che è il capoluogo di una Regione, di una Provincia a statuto speciale.

Ecco la frase, arriva puntuale: “serve un sindaco con esperienza” (in realtà si direbbe con le palle, non facciamone una questione di genere, per carità), si, ma quale esperienza, quella della vecchia politica miseramente fallimentare, quella del: “fago mi”, o quella del compromesso ad libitum? 

Siamo alla decrescita infelice, mutuando in parte frasi spacciate da qualche guru come carma politico, nonostante il mercatino di Natale. Spetta alla politica, comunque, risollevarne le sorti, scorciatoie non ce ne sono, non un contratto per la città, ma un laboratorio politico con punti alti, fermi, capaci di dare risposte semplici a problemi complessi e irrisolti non ai partiti, ma ai cittadini.

Il Pcnc

di Roberto Avanzi

Ecco all’orizzonte le elezioni comunali, ma prima ci sarebbero due supplettive nazionali e quelle europee… (pare importare a pochi), ormai si guarda al 2020 soprattutto nei grandi centri del Trentino e in modo particolare fervono contatti per Trento e Rovereto.

Il tentativo non troppo nascosto è quello di una proposta che riunisca sconfitti, scontenti, frammentati e reduci.

Cercare un punto d’incontro per una candidatura che rappresenti un’alternativa al centro sinistra e al centro destra, per rilanciare la territorialità svincolata dalle influenze nazionali, sembra questa la base sulla quale in questo periodo ci si confronta.

Mentre anche nei piccoli movimenti sembra essere di moda il detto: squadra che vince non si cambia, iscritti ed ex iscritti sembrano essere di parere diverso, anche perchè l’unico partito che ha ottenuto un successo sostanziale è la Lega, le percentuali degli altri, opposizione compresa, sono in alcuni casi veramente basse.

Il Pcnc: “il partito che non c’è”, secondo i soliti bene informati (o quasi), raccoglierebbe un buon consenso e potrebbe allearsi con chi gli permettesse la candidatura a sindaco del proprio esponente, a partire dalla città di Trento.

Tutto sulla carta ovviamente, intanto al di là che si possa bollare la questione come fantapolitica, la primavera vedrà i congressi di molte formazioni politiche, sarà da questi eventi che si potrà capire se ci sarà la volontà di evolversi e cambiare oppure assisteremo alla solita minestra riscaldata.

Magari si svilupperà un partito ricco di competenze, con persone capaci di esprimere idee attraverso la conoscenza, magari ci sarà qualche segretario o presidente di partito donna, tanto per non dover ricorrere a corsi specifici sulla parità di genere, magari dico magari ci saranno esponenti che si esprimeranno in italiano e non in raffazzonato politichese, magari.

Oppure la fiaba di Fedro avrà sempre la meglio con il suo: ad rivum eundem lupus et agnus venerant siti compulsi…

Eppur si muove

di Roberto Avanzi

Alla scuola della politica ci si iscrive pagando una tessera di partito, non servono diplomi, lauree o esperienza, puoi starci anni senza avere ruoli o cercare di “scalare posizioni”, e se candidi, a bocciarti o promuoverti (roba per pochi) sono gli elettori che ti esaminano attraverso il voto secondo la matematica di Bull: o si o no.

A volte viene persino sovvertita la tesi: “chi ha le capacità non ha il consenso, chi ha il consenso non ha le capacità”, ma in politica si sa: tutto è opinabile, a volte fisiologico e a volte spiegabile come  l’algoritmo di Viterbi.

Oggi per “fare politica” il panorama dell’offerta sembra essere molto vasto, in realtà a mancare sembra essere la qualità, ma sopratutto mancano progetti strutturali, mentre i pochi programmi sono infarciti di infinite variabili.

Il partito per eccellenza non esiste, ci sono gli “ad personam”, mentre i “pro popolo” sono solo sulla carta e in realtà sulla via dell’estinzione.

Colpa di internet, del web, dei social network? Può darsi, certo il periodo storico stranamente coincide, aumentate a dismisura le arene, dove lo sfogo mediatico non ha limiti, diminuiti in modo sostanziale: gli iscritti, i confronti assembleari, le idee, le proposte, la meritocrazia e pure l’impegno.

Che qualcuno ancora partecipi e ci creda in modo “disinteressato” c’è, merce rara però, rispetto alle masse nazional popolari che si spostano al minimo alitar di vento.

Ai bisogni reali della gente si sotituiscono “le ragioni” più recondite dei bisogni del singolo,  nonostante che “lavorare di squadra” sia il carma, sicuramente teoretico, anche se sbandierato a panacea.

Vorrei il partito che non c’è, che non ha un simbolo, che non ha bandiere, vorrei un partito di Persone, che si nutra di convinzione e non di convenienza, che dialoghi con i segni dell’umanesimo e non con i gesti dell’esaltazione.

La politica ha ancora un suo fascino? Credo che il fascino sia più legato al potere che può rappresentare, più che al “servizio per la comunità”, espressione abusata e logorata dagli esiti.

Costruire qualcosa di nuovo in politica appare oggi un po’ come come la costruzione di una piramide egizia; non essere schiavo, ma parte integrante sarebbe già un buon primo passo.

Siamo alla fase di ricerca, laddove i ricercatori vagano ancora senza meta, per le scoperte bisogna attendere, la speranza? Citerei Galilei davanti all’inquisizione: “E pur si move!”.

La politica congressuale

di Roberto Avanzi

Oggi la tesi principale, per dare il giusto risalto ad un movimento popolare in Trentino, dovrebbe essere il superamento del contratto di governo e/o di coalizione quale fulcro omologante, che di fatto sostituisce il lavoro politico dei partiti, cancellando legittime ambizioni, fagogitando non solo le sfumature e le accezioni sui temi, ma il consenso stesso.

L’essenza del pensiero politico, come si misura, in un contesto congressuale, se non attraverso la presentazione agli iscritti di proposte veicolate dai singoli, che pur nell’alveo statutario, presentano le loro idee sullo sviluppo del movimento, ponendosi obbiettivi programmatici e scadenziati, come è ovvio, dalle tornate elettorali, nelle quali il lavoro politico viene valutato dalla sovranità del voto popolare.

Servirebbe un congresso aperto, per un movimento da costruire, sui temi reali sia nazionali che locali, che permetta il confronto su tesi politiche, anche antitetiche, ma capaci di portare idee a sostegno di una evoluzione culturale del disegno strategico di una forza politica che si pone come obbiettivo l’attenzione al particolare mondo territoriale del Trentino.

Il superamento della frammentazione come obbiettivo principe a sostegno della necessità impellente di uno sviluppo di un movimento pluri democratico, capace di recepire le istanze di chi non ha voce, di chi ha semplicemente un acclarato bisogno, è un percorso obbligato.

Ricordiamoci che dopo “il progetto” serve “la costruzione”, una costruzione che poggi su basi nuove, solide nel momento in cui si sapranno accettare non solo posizioni diverse sui singoli problemi, ma anche valutazioni sancite dall’espessione di un voto.

Un movimento cresce se crese la sua democrazia, la sua capacità dialettica di confronto, se si da concretezza al progetto realizzando una casa politica dove possano convivere anche idee diverse sui singoli temi.

Una tesi, singola o esplicitatata a sostegno di un programma politico deve avere una sua rilevanza in termini di rappresentatività istituzionale, quale adeguata risposta al valore del contributo e se necessario posta all’attenzione degli iscritti con un voto, per evitarne false interpretazioni.

Il congresso di un partito che guarda con speranze di crescita al proprio futuro, deve portare novità e non reiterare vecchie logiche, seppure oggi la politica di per sé crea poco entusiasmo, quindi ben vengano anche proposte su singoli temi, ma l’attenzione deve essere in primo luogo posta su un programma politico di ampio respiro che dia impulso e rilanci l’idea di politica trentina quale modello aggregante e futuribile.

Alla politica serve un gilet

di Roberto Avanzi

Un gilet per tutte le stagioni, colore a scelta, da noi vanno di più le magliette e le felpe, una sorta di attività congressuale che si svolge per le strade, nessun iscritto o tessera da pagare (per ora), tesi chiare, ipotesi un po’ meno, ma soprattutto rabbia, una rabbia che si accumula e non si scarica mai, una rabbia che si trasforma in violenza ed esasperazione.

Questa sembra essere la frontiera della nuova politica, dove la necessità primaria è individuare un nemico e quello che esso rappresenta: il disagio sociale, non general generico, ma ben definito con al centro la situazione economica del singolo nella società avanzata occidentale.

Quando la politica non risponde, tradisce le promesse, ed anche i movimenti politici più populisti giochicchiano con gli interessi personali e pseudo elettorali, allora la società trova un modo di riemergere con nuove forme di pensiero politico, non associazionismo culturale o forme involute di civismo, ma aggregazioni su temi forti, sentiti da masse notevoli di persone.

Nell’attuale immobilismo della politica trentina, tutta intenta ad osservare i fatti e i misfatti del governo nazionale, si guarda agli accadimenti francesi con il classico distacco del pensiero autonomista (vecchio e consunto), qui siamo nel paradiso del cambiamento dove pare essere translato il pensiero aristotelico del motore immobile, cambiano gli interpreti, ma nulla muta a ben guardar, un pensiero che da alto diviene automatico: Autonomia come soluzione automatica e automatismo.

Qui i tafferugli sono più che altro schermaglie riportate dai giornali e dipinte come battaglie di etica valoriale e democrazia, ma anche in Trentino ci sono famiglie povere, gente in difficoltà, giovani senza lavoro, giovani che vanno all’estero, attività commerciali e imprenditoriali che chiudono, cultura ed educazione deprimente, rapporti sociali ridotti ai minimi termini, per non citare i cavalli di battaglia di alcuni partiti.

Presto si aprirà la stagione dei congressi della miriade di formazioni politiche presenti in questo Consiglio provinciale, sentiremo le stesse nennie ripetute fino allo sfinimento, valori e colpe, cose da fare e non fatte, colpevoli e innocenti, si citerà De Gasperi in tutte le salse (come sempre più spesso accade: a vanvera) si faranno promesse e fioccheranno i nuovi propositi.

Eppure i “nemici” ci sono anche qui per poter fare politica in modo serio, si chiamano: povertà, disoccupazione, scarsa cultura, maleducazione, una scuola da rilanciare, un menefreghismo senza precedenti, un individualismo esasperato ed esasperante, questi sono i nemici da combattere con una politica attiva, aggregante, territoriale.

Chissà se qualcuno vorrà farsi carico di questo Trentino reale, qualcuno avrà il coraggio di indossare un gilet del colore dell’orgoglio, del colore della verità, del colore della speranza?

Parità di genere, serve un confronto vero!

di Roberto Avanzi

Il ruolo di educatore spetta alla famiglia o alla scuola? È essenzialmente su questo tema che oggi si dovrebbe cominciare a ragionare, i percorsi educativi scolastici per affermare la parità di genere hanno una loro legittimità culturale oppure bisogna lasciare il compito esclusivamente alle famiglie?

Oggi sempre più spesso alla scuola sono affidati compiti educativi per molteplici ragioni, alcuni paiono essere in contraddizione fra loro: da un lato figli lasciati a scuola per un molte ore per impegni di lavoro dei genitori, dall’altro un’assenza educativa degli stessi, inoltre, molte famiglie di immigrati addottano principi educativi, molto lontani dai nostri, proprio in merito alla parità di genere.

Come spesso accade, il tema da reale, diventa politico e i toni si accendono, si fanno aspri, sorprendendo per l’ideologismo smodato con cui vengono trattati.

Se affrontiamo il tema della libertà educativa, questo non va confuso con l’autonomia scolastica che è tutt’altra cosa, è sul terreno del ruolo da un lato e sui principi dall’altro che bisogna trovare una convergenza di idee e valori, per evitare di trascinare il tutto nella sterile polemica sia essa politica che di esacerbante retorica.

La parità di genere è un principio costituzionale e se il compito di insegnarlo non viene assolto dalla famiglia a quale istituzione la società lo deve affidare, vista l’emergenza, perchè di fatto lo è? Ad oggi, se non si vuole scadere nel disadorno mondo del pressapochismo credo che un confronto serio fra amministrazione provinciale e corpo insegnanti vada intrapreso al più presto.

Un confronto che tenga conto in maniera essenziale degli aspetti autentici del problema e rinunci a posizioni preconcette, ponendo la parità di genere e il suo insegnamento al centro di una irrinunciabile crescita culturale per la sociètà.

Avendo presente che purtroppo non sono certo le imposizioni dall’alto a risolvere i problemi, soprattutto nel nostro paese, anzi di solito li acquiscono, il Trentino su questo non fa certo eccezione.

Allora diamoci da fare!

di Roberto Avanzi

Bene, lo sprone viene dal presidente Mattarella, che nel suo discorso di fine anno ci pone di fronte alle tante contraddizioni del contratto di governo in corso, non proprio una sottigliezza leggendo le risultanze della manovra economica approvata alla Camera con il voto di fiducia.

Il tema è sempre lo stesso da troppo tempo, in politica ci si muove per interessi personali e degli amici, possibile che non si possa cambiare questo andazzo?

Non so quanto possa durare l’idillio fra elettorato e governo a guida gialloverde, il canovaccio alla stregua delle promesse è sempre il solito e la disuguaglianza regna sovrana quasi come un totem intoccabile.

Una disuguaglianza che non è solo di reddito, di cultura, di servizi, ma riguarda il lavoro, la scuola, la sanità, la sicurezza, il vivere civile, ergo la politica e le istituzioni degradano autoalimentandosi con la disgregazione sociale.

Se i partiti sono la parte principale della democrazia parlamentare è pur vero che sono in modo altrettanto inequivocabile i principali protagonisti degli squilibri sociali.

Forse è giunto il momento che la gente si metta insieme sulle esigenze e porti avanti le proprie istanze abbandonando definitavemente l’ideologia del leaderismo, faccia fronte comune sui problemi reali costruendo un’alternativa vera a questo mondo politico che pare non cambiare mai.

Parliamoci chiaro e diciamoci le cose, cosa è cambiato anche qui in Trentino con la nuova Giunta? Vero è passato poco tempo dal suo insediamento e ci sono state emergenze da affrontare, ma certe problematiche le si potevano affrontare invece sembra tutto come dicono gli americani in stand by, siamo o non siamo una Provincia Autonoma, dovremmo tutti avere un lavoro, una scuola con la S maiuscola, un reddito degno di questo nome, una sanità che altrettanto possa usare la consonante in maiuscolo, invece siamo ancora in attesa di capire come si muoverà questa amministrazione su questi importanti temi.

Veramente deve nascere un movimento di opinione che riesca a coinvolgere e condizionare le scelte altrimenti saremo sempre alla stregua delle stesse logiche.

Non reddito di cittadinanza, reddito di garanzia, ma lavoro, lavoro vero, istruzione, servizi d’eccellenza, pensioni degne, forse a qualcuno sfugge il concetto di società civile e pensa che il bene comune sia l’assoluta sperequazione, non è così.

Il populismo sembra assomigliare sempre più, ogni giorno che passa, al pressapochismo, altro che speranza e futuro.

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